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Recentemente un’amica mi scrive su FB per chiedermi qualche considerazione personale  sul perché i giovani musicisti  di oggi  siano sempre “più senza passione, senza voglia di studiare, incapaci di concepire il sacrificio, abbiano genitori eccessivamente protettivi, senza polso, che non concepiscono l’importanza dell’arte, della creatività, della MUSICA nell’educazione dei figli. Esistono per loro  solo il calcio, i tablet e facebook”. La trovo una bellissima riflessione da affrontare oggi.

Personalmente trovo che tutto stia cambiando. L’intera società  è diventata “liquida” come  sapientemente ci insegna Bauman. Di conseguenza, anche la percezione della musica, l’insegnamento della musica, il modo di eseguirla è in continuo cambiamento.

Tempo fa un mio amico, che amo definirlo “il mio Maestro Coach” Simone Pacchiele , bevendo assieme un caffè veloce  presso un  bar di Milano, spiegandomi le valenze del suo metodo di coaching,  mi fece riflettere  su una splendida metafora musicale: “ Gli accordatori servono per accordare, giusto? I Musicisti accordano  sempre i propri strumenti prima di incominciare a suonare, giusto?  Allora, preso atto di questo,  chi accorda il musicista?

Non passa giorno che non rifletta personalmente  su questa metafora,  come se  fosse un religioso “Koan” giapponese e  mi  domando spesso “ma  se il musicista non è in grado di accordare se stesso (all’interno di una visione olistica) allo stesso modo con  cui lo fa con il proprio strumento, come può insegnare ai propri alunni le strade del cambiamento per generare performance?”

La trasmissione del tradizionale sapere accademico funziona sempre meno  con le nuove generazioni. Nuove riflessioni sono quindi  necessarie per  quei docenti che intendono insegnare con successo  uno strumento musicale ai  giovani “Millenials”  (attuale definizione di generazione  nata  tra il 1980 ed il 2000).

Tra  queste, la più importante (per il mio personale modello di coaching )  vi è quella di  comprendere  che le attività dell’ essere umano si possono raggruppare in  tre soli paradigmi : quelle ludiche (legate al divertimento), quelle legate alla sopravvivenza (ciò che  facciamo per necessità)  e quelle legate alla crescita (ovvero tutto quello che facciamo per migliorare la nostra conoscenze, le nostre abilità e le nostre competenze).

Durante l’età evolutiva queste attività sono unificate dal gioco. I genitori, quando scelgono un giocattolo per il loro bambino, si preoccupano che gli piaccia e, nello stesso tempo, che lo aiuti a crescere, a maturare. Col passare degli anni, le attività di apprendimento e lavoro si separano dal divertimento e dal gioco.

Ecco allora che  il  giovane musicista, incomincia a  stancarsi  di andare a scuola, si stanca di studiare, si rifiuta di collaborare, sbuffa. Vorrebbe divertirsi andando a spasso con gli amici perché, per tutta l’adolescenza l’individuo cerca di conservare il modello infantile, in cui tutto è sotto forma di gioco.

Durante gli esami di diploma di strumento, si trovano infatti  molto spesso alcuni studenti che, al termine delle prove, ti  dicono che  hanno  studiato poco i  “pezzi d’obbligo”, perché semplicemente  non gli piaceva  lo stile o l’autore, facendo rifiorire così  il proprio modello infantile. Crescendo però, il  giovane musicista  si piega alle necessità sociali,formando così  inconsapevolmente  tre tipi di personalità diverse tra loro:

Il primo paradigma  di allievo  è  il musicista ludico (forse la maggior parte?) . Cerca il divertimento e considera lo studio in Conservatorio  una dura necessità (spesso  imposta dai genitori) , qualcosa che fa per, poi, poter godere del tempo libero e dello svago. Le persone di tipo ludico aspettano con ansia la sera o il fine settimana per andare a divertirsi. Aspettano ora dopo ora, di uscire dalla scuola. Passano la serata in birrerie  o  al bar . Sognano le vacanze, i viaggi e ne parlano in continuazione. Vanno a sciare, fanno sport. In mancanza d’altro, stanno davanti al televisore, oppure  con  gli amici, parlando del più e del meno. Non sopportano il tempo vuoto, perciò trovano sempre  qualche «passatempo» (a patto che debba essere di puro divertimento, dalla “partita di calcio”  in tv,  alle serate passate sulle chat di  Facebook).

Il secondo  modello  di allievo  è quello attivo. E tutto proiettato all’esterno, si lascia assorbire dallo studio, dall’attività. Il suo unico desiderio è dominare, controllare il mondo. Non ha veri svaghi, divertimenti. Tutto ciò che fa, anche una festa o una  semplice gita, ha sempre uno scopo pratico, gli serve per manipolare uomini, creare rapporti sociali utili. Non ha un momento di intimità, non resta mai solo con se stesso, non si interroga sullo scopo della sua vita. Il suo tempo è uniformemente pieno e costringe tutti gli altri a seguire il suo ritmo.

Il terzo tipo di allievo, (quello che ogni insegnante desidererebbe avere) mette al primo posto l’apprendimento, la conoscenza, l’arricchimento personale. Possiamo chiamarlo l’esploratore. A differenza dei due  modelli  precedenti, legge, studia, utilizza qualsiasi esperienza per imparare, per riflettere. Anche di fronte ad un insuccesso, un dolore, un tradimento, si domanda: cosa posso imparare da ciò che mi accade, come posso utilizzarlo per conoscere meglio me stesso e gli altri? Se fa un viaggio, studia la storia del paese, lo confronta con il suo. Se deve passare il tempo in una sala di aspetto guarda l’architettura, osserva i diversi tipi umani che entrano ed escono. Ogni volta che incontra una persona, beve con ansia le sue parole, sperando che gli possa rivelare qualcosa di nuovo. Mentre il tipo attivo giudica buoni coloro che gli servono e cattivi quelli che lo ostacolano, egli non dà giudizi perentori, ma cerca di capire tutti.

Imparare a riconoscere  questi paradigmi  e ad utilizzarne  tutti relativi filtri nascosti,  consentirebbe  ad ogni insegnante di strumento  di migliorare le proprie  relazioni interpersonali con i propri alunni, potenziando, in modo naturale, tutti  quei  canali comunicativi,  necessari per insegnargli  a  generare  delle performance.

Provate a rifletterci: che senso ha utilizzare nella musica   sempre e solo degli schemi  del passato per le attuali esigenze dei Millennials?

I conservatori di musica  devono  essere oggi  più seri che mai. Devono essere capaci di  far star bene gli alunni, per diventare un’alternativa al mondo diseducativo nel quale viviamo, per “rieducare” i  giovani  a impegnarsi, a studiare, a faticare e trasformarli in cittadini migliori. Non basta però insegnare. Bisogna voler insegnare e non si può diventare insegnanti per puro ripiego.

Buona Giornata a tutti! Da Maurizio Camarda

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